Con Maeda è tutto più semplice

Con Maeda è tutto più semplice

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IL DECALOGO PER UNA VITA PIÙ SEMPLICE Davide Mura A un brillante incontro coi manager del terziario il graphic designer John Maeda presenta le dieci leggi che possono aiutare a rendere la nostra vita e il nostro lavoro meno complessi, a partire dal rapporto, spesso difficile, con le tecnologie della nostra quotidianità. John Maeda non ha bisogno di presentazioni. Visual artist, media guru, designer, teorico dell’informatica, docente, formatore… sono molte le definizioni per questa figura eclettica e di fama mondiale. Sensibile alle suggestioni che avrebbero potuto scaturire da un incontro con il pubblico di manager, il Cfmt ha organizzato un dibattito nell’ambito del progetto “Global” (una serie di conferenze con relatori di fama internazionale).

La creatività può essere allenata?

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Possedere una buona funzionalità mentale e una discreta intelligenza sono precondizioni necessarie per il lavoro creativo, ma sappiamo che non coincidono esattamente con l’essere creativi. Uno studio svolto dall’università dell’Oklahoma, assai citato, dice che per migliorare la creatività conviene comunque lavorare sulle facoltà cognitive ma, soprattutto, su quelle euristiche: in sostanza, sui modi (più o meno automatici, più o meno originali) in cui osserviamo e analizziamo le cose e ci mettiamo in relazione con il mondo. È un approccio che mi sembra del tutto sensato: ci ho perfino fatto un libro, che propone esercizi di creatività e scrittura. Psychology Today chiarisce ulteriormente: il potenziale creativo sembra dipendere per non più del 10 per cento dalla componente genetica individuale. I tratti di personalità (per esempio l’apertura all’esperienza) sono invece importanti. Quindi, la capacità creativa si sviluppa grazie a tutto quanto contribuisce a sviluppare un atteggiamento mentale aperto, fatto di curiosità, sensibilità

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Bias cognitivi: cinque modi veloci per ingannarsi da soli

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L’edizione inglese di Wikipedia ne pubblica un lungo elenco piuttosto terrorizzante. Molti articoli di svariato contenuto, dal management alla vita di coppia, li tirano in ballo per spiegare inceppi, cecità, fraintendimenti, comportamenti stupidi e decisioni sbagliate. Il nome con cui li chiamiamo suona esotico, e potrebbe star bene a un elfo maligno o a una purulenta forma di eruzione della pelle. In realtà, si tratta di una parola inglese derivante dal francese provenzale biais, che significa “obliquo, inclinato” e che a sua volta deriva dal latino e, prima ancora, dal greco epikársios, obliquo. In origine il termine riguarda il gioco delle bocce (e, immagino, certi tiri storti dalle conseguenze nefaste), ma già nella seconda metà del 1500 acquista un significato più ampio e indica “inclinazione, predisposizione, pregiudizio”. Insomma, sto parlando di bias cognitivi: automatismi mentali che ci portano a prendere decisioni in fretta e senza fatica. Peccato che si tratti

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